domenica 29 dicembre 2013

DALLA GABBIA PUOI USCIRE SE TI VA

"...ma soltanto senza la verginità"
(Godi, Faust'o - 1978)




Godi, sta per finire il tuo tempo. Sei stato un blog travagliato. Mi hai insegnato che tutte le storie appaiate in partenza si perdono entro i primi 500 metri. E che alcune scompaiono. Non le vedi proprio più.

venerdì 27 dicembre 2013

ESTRATTI DA DIARIA - GIOVANNI LIMONGI


INVECE DI FARE LA RIVOLUZIONE 3
(dicembre 2013 - Br frazione di M)
Invece di fare la rivoluzione raccolgo olive a mano, col paniere, per la salamoia. Una scusa come un'altra per giocare. In cucina L prepara il pranzo della domenica e F, sul tetto, finisce di pulire i rami alti dell'unico ulivo. Colazione pranzo aperitivo cena. F tenta di convincermi a rimanere. Parte per la Francia tra due giorni. Questa casa è il suo sogno. Sogno vuoto 8 mesi l'anno. Con sala musica e boschi e prati intorno. E raggi di sole obliqui sui fantasmi al tramonto.
Invece di fare la rivoluzione mi asciugo al sole.

***

Gallina vecchia fa buon brodo. Qualcosa tipo "acqua passata non macina più".
le carte dicono "papessa".
Sto tra una papessa e H Miller.
Due culi e una capanna. Senza capanna e senza cuore.
Nel percorso illustrato dalle carte scorgo la via insidiosa promessa.
Una papessa vale l'altra..

***

Invece di fare la rivoluzione risalgo dal porto di M fino al centro, sotto la grandine con due canne d'erba in tasca. Arrivo all'autobus per Br sudato e zuppo d'acqua gelata.
Sarà questo il mio inverno. Questo, la montagna, il pastore Giovanni, il pastore senza un braccio, novantenne, che ieri è venuto a pulire il bosco insieme a me.
Invece di fare la rivoluzione risalgo con l'autobus verso Br in 45 minuti causa tappeto di grandine sull'asfalto, sulle vie tortuose e montane. Da zero metri a 500 sul livello del mare in otto chilometri. L'autista impreca. Invece di fare la rivoluzione lui parla ad alta voce e progetta di lasciare l'autobus a Br, di farsi venire a prendere dal cognato con la jeep.
Poi, invece di fare la rivoluzione, accendo un fuoco di recupero nel camino, mi tolgo le scarpe, ceno con patate bollite, fondente e mandorle.
Invece di fare la rivoluzione da tre settimane circa vivo a Br, comune di M, a casa di F il matto. che per quanto mi sforzi non riesco a chiamare Esso tanto poco mi è alieno. Mi sembra di conoscerlo da sempre.
Mi correggo: casa del matto e del fantasma. Una casa con due occhi e un naso.
E aggiungo: gli occhi e il naso glieli ha messi F durante i lavori di ristrutturazione. E' un mezzo imbroglio.
Il fantasma se la ride.
Anche Giovanni se la ride.

***

A me piace essere quello che fa il fuoco alla mattina quando tutti dormono, la valle tace, e il sole ancora non lo sai se c'è o se il chiaro sopra al monte chiamato cielo dell'aurora è grigio nube o azzurro.
A me piace essere quello che fa il sole alla mattina.

***

Il vento soffia violento da nord. Nevica. L'ultimo autobus è salito e ridisceso da un pezzo, se davvero ce l'ha fatta a salire. Fumo davanti al fuoco e me ne sbatto, difficilmente Gab arriverà con i due autostoppisti inglesi che ha raccattato in spiaggia a Fiu, mentre dormivano in una grotta. Questo penso e mi sbaglio di grosso, perché invece i tre arrivano alle 19, zuppi fradici e con 4 tonnetti pescati da Gab prima della tempesta. Gab è logorroico, intrattiene i due giovanissimi inglesi rigirando i 4 vocaboli che conosce in lingua. Io dunque li risparmio. Restano in tutto due giorni. Facciamo legna insieme. Scambio con T poche parole. 
T mi fissa prima di andare via e come una raccomandazione, come cercando nei miei occhi una rassicurazione, dice "revolution". Scompare dietro l'angolo.

***

Passi, passi di corpi nel vento gelido, passi in salita nella notte deserta e ombre, due ombre proiettate in terra da una luna di secondo quarto crescente.
Sono felice di aver conosciuto Giovanni Limongi.

lunedì 23 dicembre 2013

NOVEMBRE (ERA) - Estratti da Diaria


PIU' ITACA PER TUTTI
(G, frazione di St – 4 novembre 2013)

Parlo con le carte. Davvero, solo con loro. E mentre ci parlo sento la parola “casa”.
Mai stato a casa. Immagino che “casa” sia solo un mito. Più “Itaca” per tutti. “La quarta virtù è la saggezza”, sento ancora dire di riflesso a qualcuno che sembro io. E non oso pensare che anche la saggezza sia solo un mito.
Qualche volta mi accorgo di essere oltre il bordo. Qualche volta mi accorgo di muovere passi nel vuoto.


LA QUARTA VIRTU'
(G, frazione di St – 4 novembre 2013)

Oggi è da seconda persona singolare.
Tu. Ehi tu guarda:
non c'è inquietudine. Certe fantasie scolorano dietro l'impossibile. Sono altre le persone, altre e oltre le immagini. Ma, pur sapendo, la fantasia scappa.
Oltre il muro c'è l'inferno, o peggio il nulla, eppure evadere è imprescindibile. Andare è respirare-mangiare-bere. Potrebbe essere un incontro e tutto in quell'incontro. O forse non potrebbe ma troppo bello sarebbe se fosse. Ecco: troppo. C'è un tempo abbastanza lungo, e se non lungo almeno cadenzato, prevedibile. Quasi prevedibile. A fantasia.
“Quando imparai a contare persi il senso della misura” dici.
Ma a parte questo, puoi inquadrare la sagoma della saggezza. Memorie di svariati piani e svariate dimensioni. Le frazioni.
Ecco: frazioni il tempo e ti chini sul foglio. Ogni giorno. Questa è la via.



ATTILA FUORI DAL MITO
(G, frazione di St – 5 novembre 2013)

Questo è un mondo nuovo reso a posteriori sopra la tela di corteccia. La carne macellata puzza ai nasi fini. Ho asfalto nelle narici. Nel cielo grida l'astro. Un urlo muto alla battaglia e all'algida giostra lontana, terrestre, alla pista battuta dove non cresce più erba.
Attila è fuori dal mito.
Attila semina sassi bianchi mano a mano che nel bosco procede. E il bosco si fa foresta e corre la notte, accorre la paura di non saper o non poter tornare. La strada sale e il bosco urla anche lui, di rimando all'astro e sopra la strada che non è più strada, né sentiero, né mulattiera ma solo bosco e foresta e passaggi di animali, cinghiali o cacciatori o persino lupi, o cani o uomini famelici. Famelici prima ancora che affamati.
(curami gli occhi questa notte)
Alla fine della fiera, Attila torna al suo mito.



DALL'ALTO
(G, frazione di St – 5 novembre 2013)

Umana si piega, ricomincia il conto. 350 gocce di lavanda in olio essenziale, base di latte di mandorla, sembra esplosa una profumeria, con tutto che il mio naso mi protegge. E schegge, intanto schegge dal legno e croci, croci e chiodi e nasi di spine intrecciati a corona.
Il mio regno per una piega di stoffa in cui sparire.



DOMANI SCHIODO (18ESIMO GIORNO A G, “Lì DOVE L'ACQUA SGORGA”)
(G, frazione di St – 8 novembre 2013)

Il mio liberale è un'anima persa che gira parole come fossero pollici, al buio e al gelo, ignorando persino la possibilità di stare bene, di stare altrove o di non stare affatto. Di essere nulla, libero e in silenzio.
La sua compagna ha paura del cielo. Comunemente si combatte questa fobia zavorrandosi. Spesso la cura è peggiore del male. Anche perché la paura non è in sé un male da curare. La zavorra invece può diventarlo molto facilmente.


INVECE DI FARE LA RIVOLUZIONE
(Porto di M, frazione di M – 10 novembre 2013)

Invece di fare la rivoluzione me ne sto al bar del porto di M, area esterna riparata dalla pioggia che non cade ancora. Sky gira le stesse notizie da due ore. Girano anche i commenti. Cambiano le persone, i commenti di meno.
Potrei starmene qui, usare questo posto come fosse scena di teatro, fare accomodare la fantasia, interrogarla. O interrogare le carte.


INVECE DI FARE LA RIVOLUZIONE 2
(Sapri – 14 novembre 2013)

Invece di fare la rivoluzione me ne sto sulla spiaggia deserta a nord di Sapri, di fronte al cimitero, monto la tenda, accendo un fuoco e penso al tempo rimasto e a quello rinnovato. All'onestà del principio e alla mistificazione dei finali.
Il giorno del giudizio sarà una farsa.
“Benvenuti a Sapri, città della Spigolatrice” ho letto entrando in paese.
Mi sono disposto all'esercizio delle libere associazioni, tanto per non sentire il peso dello zaino: alla voce Sapri corrisponde il nome Pisacane Carlo
Altro che città della Spigolatrice. Hai voglia a dire “Spigolatrice”.
La caserma dei carabinieri è in via Crispi. Anche questo ho letto entrando in paese.
Via Crispi, e Pisacane trucidato poco prima dell'impresa dei mille.
Via Crispi, e Pisacane repubblicano.
La repubblica è meglio della monarchia? Non lo so.
Via Crispi, e Pisacane trucidato. Libere associazioni in esercizio: alla voce “morte di Pisacane Carlo“ corrisponde il titolo “L'omicidio di Cristo” di W. Reich.
Pisacane trucidato e mitizzato poco prima della nascita mitologica di mille garibaldini? Propedeuticità dei miti.
Onestà del principio contro la mistificazione dei finali.
Ps
Libere associazioni al galoppo: alla voce “morte di W. Reich” corrisponde un ricordo recente di Vallo della Lucania. Un Cristo in stazione con il 15 demoniaco impresso ad ombra sul piedistallo, in una targa altrimenti vuota. Nell'aria di Vallo corre l'omicidio. Gorgo e oscurità: un epicentro del male. Mastrogiovanni, processo Marini, un luogo di violenza e sadismo. E venendo via da Vallo dove monto la tenda? Di fronte al cimitero. Dovrei scrivere solo horror.



POWER (NON ROMINA)
(Sapri – 15 novembre 2013)

Così assiepati, i giorni, sembrano camaleonti nascosti nelle macchie a verde sopra il mare. Il mare, dal canto suo, si calma a istanti, sorseggia veleno, e poi lo risputa in forma di cristalli di sale.
Cosa volevo dire? Ah sì:
che sale.
Sale il mare, si arrampica e urla. O forse faccio un po' di confusione e oggi c'è bonaccia e la tempesta era ieri, ero io, eri tu lungo l'inverno dei nostri giorni. Del resto ci sono immagini che posso scollare dai muri per riporle o farle sparire, immagini e fastidi che posso trattare così. È questa una forma essenziale di potere, mica un gioco: è sopravvivenza. Ma ci sono anche immagini che per quanto dolorose conducono ancora con loro delizia. Delizia e dolore frammisti dove la linea di confine è una spiaggia frastagliata, nessuna netta demarcazione e allora smaltirle non conviene, non si vuole e non si può. O si può e non si fa, e anche questo è potere.
Ecco cosa volevo dire: come il mare dunque oggi urlo sbatto sussurro e accarezzo. Depongo il tuo ricordo che è vita sulla riva e ti addormento. Ti osservo. Come se la carne contasse qualcosa ti immagino qui e ora, tra le mie correnti, tra i flutti e le spume. Il sole brilla negli occhi, schegge a pesca nell'infinito. Alcune pagine sono capolavoro e altre sono esercizi meno riusciti, sufficienze stracciate, sbiadite memorie.



5000 EURO
(Sapri – 15 novembre 2013)

Sul lungomare di Sapri a un certo punto mentre strimpello e scolletto percepisco il pericolo. Ci deve essere una campagna stampa contro sesso, prostituzione, pedofilia, orchi, lupi e altre generiche frattaglie messe a bollire nel medesimo pentolone. La nonna col bimbo infatti mi guarda in cagnesco. Dunque saggiamente ripongo la chitarra ed esco (di scena e dal parchetto che chiamarlo parchetto non rende l'idea e incontro Nadia, la ritrattista in bicicletta. I ritratti non li sa fare, ma è gentile e mi invita a dormire da lei. Me la batto a gambe levate e mi imbatto in un inaspettato mercato).
Sapri ha detto questo. Questo e mosche.
Ps (dell'inaspettato mercato)
Se intera sta a 5000 euro, mi dico, a tranci deve valere una fortuna … [ma voi non potete (ancora) sapere di cosa sto parlando, ndb]




(16-30 novembre - Br, frazione di M)

Viaggio tra fantasmi.
-il raggio lunare sul camino della casa di G.
-l'ombra dalla finestra del primo piano, qui ieri pomeriggio
-F e il suo passato in Lotta Continua
Fantasmi.
L i fantasmi li vede da sempre, dice. E' un dono. E ci parla anche, coi fantasmi. Afferma per esempio di aver sorpreso un signore distinto, accomodato con le gambe accavallate proprio su questo divano dove adesso io sto scrivendo.
Hai visto il fantasma affacciato alla finestra? mi ha chiesto a bruciapelo ieri sera.
F s'è addormentato, sempre su questo divano, dopo il risotto, mentre io e L parlavamo.
Russava. Chissà cosa ha sognato.
Forse non esistiamo.

***

Qui dove sono ora c'è una casa, un ex rudere ristrutturato da F. Questa casa ha due occhi e un naso. Dalla bocca si accede in cucina.
E forse non esistiamo davvero.

***

La concomitanza di taluni eventi spinge gli uomini a pensare che ci sia una regia dietro ogni pagliuzza di luce che rotea a palpebre serrate. Un disegno vale meno o più di parole scritte e incise? Una voce vale meno o più della musica armonica di campane e campanacci ridondanti nella valle?
Qui dove sono ora c'è una valle tra cime di monti brulli. Una colonna sonora perpetua composta di vento, fronde e animali. Animali di varie specie uomini compresi.
Due sere fa mi chiedevo come potessi non cadere addormentato durante le lezioni di fisica della Piccioli. La risposta è: avevo 15 anni. Ormoni a palla. Quanta energia sprecata! Io, che mi sarei addormentato al cinema durante Dracula o Puerto Escondido solo 5 anni più tardi, riuscivo a non fare canestri malgrado tutto, malgrado la noia e l'incapacità a comunicare della professoressa.
Oggi potrei pescare anime seduto sul molo del tempo, un molo mobile, un pontile comunale.

***

F è un impenitente. Evidenti manie gastronomiche , culinarie. Fatelo fumare bere e mangiare. Soluzioni semplici, programmatiche. Programmi settimanali. piani giornalieri.
Autoritarismo o agilità?
Si può decidere di non calare l'asso per amore del gioco. Ma c'è una differenza tra la libertà e la sobrietà nell'esercizio di un potere. Una differenza fatale.
Alte le fiamme sulla proprietà privata. In finale, se venti anni fa sputavo sui cartelli che l'annunciano, oggi domino il ribrezzo per la stupidità degli esseri umani.

***

Attraversando Br ho visto un fuoco. Bruciavano plastica. Come un tempo avrebbero bruciato rifiuti e scarti di origine organica. Al medioevo sopravvivemmo perché a crollare era un impero scarsamente tecnologico. Più tecnologia produci, meno sopravviverai alle scorie. In ogni caso il mito del buon selvaggio è una stronzata. Il selvaggio non è per forza buono e soprattutto non causa sciagure galattiche solo perché non ne ha la capacità/possibilità. A meno che non abbia ragione il mio liberale, e il deserto del Sahara non sia il risultato dell'attività d'agricoltura primitiva brucia e coltiva.
Ogni epoca consta di secoli bui, perché oscura è l'umanità. Di dubbia provenienza. Una stirpe di bastardi.

ps
Rileggo. Sopravvivemmo chi? Io non ero nemmeno vivo nell'anno mille. La visione d'insieme è una utopia. Ecco perché si brucia la plastica.
Utopia. Hai detto cazzi.

martedì 17 dicembre 2013

OTTOBRE (ERA) - estratti da Diaria


PERSONALE
(G. frazione di St. – 28 ottobre 2013)

Nella tempesta è meglio essere mare e non terra. Rimane questo piccolo pensiero, come una zolla inflitta nella deriva. Con altrettanta incertezza posso affermare che l'essenziale si manifesta col tempo, emergendo. Dunque? Dunque guardo. Pochi dati essenziali, sono quelli che emergono: l'animalità, le dita tese, la sabbia che ci scivola attraverso. E attraverso i giorni si perdono gli altri ricordi mentre tutto ciò che è spiacevole sembra annullare l'udito. Infatti non sento, né tuoni né macine al galoppo. All'opera c'è un criterio di scelta semplice, involontario, automatico. Preliminare. Vivida intanto la fiaccola, nella notte sorge. “Io sono tempesta”, dice l'essenziale in un alito di vento. E scopro che il tempo non mi muta se non per pochi istanti, per sperduti attimi di bruttura. La bruttura si scioglie, scompare, si mescola al sale in attesa della bonaccia e poi precipita al fondo. Mi distillo. O forse sto ringiovanendo.



INVENTARIO (EGLI)
(G. frazione di St. – 28 ottobre 2013)

Scarpe da lavoro, vecchie di sei anni, comperate con N a Sabinanigo un giorno nuvoloso durante il quale più tardi, in un bar, sediamo ubriachi e io estraggo il coltello e lo passo alla chica che ce l'ha chiesto. O no... “un giorno nuvoloso durante il quale più tardi, in un bar, siedono ubriachi ed Egli estrae il coltello e lo passa alla chica etc etc”.
Guanti di pelle, da lavoro anche quelli, due paia, regalati dal padre. Essenziali.
Un paio di cesoie comperate in Liguria.
Una fune dalla ex barca dello zio, spezzata e riannodata la sera in cui Naga Tupana finì fuori strada e servì trainarlo. Sempre in Liguria.
Un paio di vecchie Nike sfondate.
Cinque paia di calzettoni, alcuni regalo di L, altri importati direttamente dal Portogallo. Lisbona 2007, emergenza calzini.
Una ex felpa reebook dei tempi della scuola, lisa, ridotta a un velo, divenuta a fine carriera una maglietta estiva a maniche corte.
Un'altra maglietta e un pantalone verde, appartenuti a M e suo regalo.
(M che scrive: pensiero sotteso al resto)
Un maglione puro sintetico a collo alto. Per Egli è marrone, ma tutti dicono che è verde.
L'opinione del tutto personale che Egli ha sui colori.
(...e sulla morte. Oggi è morto Lou Reed: un bagaglio di meno)
Chitarra. La stessa da dieci anni. Manico rifatto da C.
Decine e decine di canzoni. Egli le porta in bocca, le mastica raramente, per il resto del tempo le ciuccia.
Godi. Un blog e una canzone.
La nascita di tanti Esso che si distinguano da un Egli.
Un Egli. Da oggi non dirò più, parlando di me, “io sono” ma “Egli ha”. Oppure “Egli è”. O meglio “Egli” e basta. Non sa non vede non può.
Parsimonia. Un romanzo forse finito che io rileggerò, o no... che Egli rileggerà tra uno o due o tre mesi.
Tante penne, numero indefinito.
Qualche quaderno, futuri e presenti “Diaria”.
I Tarocchi, comperati con R ad Alba Adriatica. E suo padre defunto, spirito guida di Egli.
(il ricordo del demonio che mi ha venduto i tarocchi)
(o no, il ricordo del demonio che li ha venduti a Egli)
Un calzone verde di tessuto sintetico, praticamente mezzo chilo di plastica.
Una cinta di cuoio e un costume, regali di E. Vecchi entrambi di ben ventuno anni. Il “mio liberale”, ad oggi detentore del titolo di Esso, non è molto più vecchio.
La tuta felpata grigia, ormai uno straccio.
Poche canotte nere, a brandelli.
12 euro, residuo di svariati ingegni poco impegnativi.
(a Stio ci sono due carabinieri. Pare che sappiano tutto di tutti ma che non rompano il cazzo. La solita spada di Damocle. Però questo ad Egli non interessa, Egli è qui di passaggio come lo è ovunque)
Un cellulare per chiamate a carico o di emergenza.
"Qualcosa" portata impressa nella carne, nelle ossa, nei muscoli e negli occhi rotti.
Fine dell'inventario.
Ps
La felicità è leggera. La sabbia precipita scivolando tra le dita tese. Egli guarda la sua mano vuota. Egli sorride. L'autunno l'abbraccia col sole e col vento.


INVENTARIO (SUPPLEMENTO DI)
(G. frazione di St. – 28 ottobre 2013)

Egli ha con sé anche una tenda, una tenda da uno dato che in uno ci sta e comunque è sempre possibile stringersi, all'occorrenza. O sovrapporsi. E un sacco a pelo, ha. Estivo, probabilmente non suo anche se uno identico Egli lo comperò. E un kiwey per la pioggia. E un cuore dove ormai è spiovuto da un po'. E la giubba di S, e l'eco di lui che nella pioggia annega.


SCRIVERE
(G. frazione di St – 29 ottobre 2013)

Scrivere è patrimonio di chiunque abbia un foglio e una penna. O un metodo alternativo.


RAMI BASSI
(G., frazione di St. – 29 ottobre 2013)

I suoceri del liberale hanno compiuto un percorso che va dal sessantottinismo spinto alla comune libertaria fino alla setta religiosa.
Il liberale e la sua compagna hanno compiuto un percorso che va dal dolore alla confusione fino alla ripicca.
Dopo dieci anni di fidanzamento due persone alle volte diventano come fratello e sorella, solo che a differenza di fratello e sorella presto non si vedranno più, se continuano a tirarsi in culo.
Egli vede e sa come tacere. Quindi Egli sa che è in grado di parlare in modo utile. Egli però non crede più da tempo, se mai ci credé, a un verso giusto delle cose da opporre a un verso sbagliato. Egli non crede nemmeno più che le mani in pasta siano da pulire o da lavare. Egli coglie i frutti dai rami bassi. Ma ciò non vuol dire che non scalerebbe mai e per nessun motivo una montagna.
La compagna del liberale ha occhi belli, di taglio e colore. Labbra invitanti e spalle scoperte. Si affetta in atteggiamenti composti ma ammicca. Qualche frutto è bello solo da guardare. Egli guarda i frutti sui rami bassi, ma ciò non vuol dire che mai li annuserebbe.


SCHIAVISMI COMPARATI
(G, frazione di St – 30 ottobre 2013)

C'era un bisnonno, senatore degasperiano nella Costituente. C'era un bisnonno con la sua clientela. C'era un bisnonno senatore con clientela e tante terre. Tante case strappate alla gente di qui che non sapeva come pagare il bisnonno, medico oltre che senatore. C'era un bisnonno che avrebbe potuto comperare due camion per trasportare le pietre dal fiume al paese quando in paese costruiva il palazzo. Ma non li comperò, preferì pagare le donne affinché trasportassero loro le pietre dalla valle al poggio, sulle teste. Lavoro per tutti.
Come gli egizi, Egli dice mentre ascolta il racconto e intanto osserva l'immagine nella Sua testa. Una fila di donne dal fiume al paese, con pietroni portati in equilibrio sulle teste.
Il liberale obietta che gli egizi non pagavano gli schiavi. Il bisnonno invece sì, li pagava. Certo, quando si ammalavano non mancava di togliere loro la terra e la casa. E gli schiavi in Egitto invece avevano cibo, abitazione e assistenza medica.
I liberali sono predatori infidi. L'ipocrisia è olio negli ingranaggi del loro sistema. Ma questo liberale è giovane e ingenuo. Si crogiola in una mitologia aberrante che gli tronca arti e scroto. Forse però una sua piccola anima da qualche parte ancora si dibatte e lotta per salvarsi.


EGLI E' STANCO DELLA TERZA PERSONA SINGOLARE
(G, frazione di St – 31 ottobre 2013)

Il mio liberale è un po' autistico. E si affeziona facilmente. Forse pensa che potrei trasferirmi qui e aiutarlo a tempo pieno. Il mio liberale rifiuta il lavoro salariato. Strano, visto che sogna di “dare lavoro” come fece il bisnonno. Lo scopo del mio liberale non è necessariamente l'autosufficienza (abominevole miraggio del nuovo millennio). Vuole solo fare della campagna il “centro del suo mondo”. Un po' com'era un tempo la cameretta a casa dei suoi. E' bellissimo, del resto, fumare cannoni e lavorare per conto proprio in campagna. Piace anche a me, non è un segreto. In città, dice, si era abbrutito.
Mi sembra che per stare qui a fare quello che fa debba dar conto a tutta la sua stirpe. La casa della nonna, la campagna e le bollette pagate perdono d'incanto quindi tutto l'agio che sembravano concedere.
Il mondo, se non te lo complicano, alle volte riesce anche a risultarti simpatico.

sabato 7 dicembre 2013

DEI LIBERALI, DELLA NATURA E DI QUANTO ALTRO CAPITA


(G., frazione di St. – 26 ottobre 2013)

La fede è unica e indiscutibile. Ossia cambia forse, o certo che cambia, ma a cambiare non è la fede in sé quanto piuttosto l'oggetto di fede, il quale rimane uno e indiscutibile solo limitatamente a fedele e lasso di tempo considerati. Dunque forse la fede è unica davvero ogni volta anche se cambia d'oggetto e non è tanto essa indiscutibile quanto piuttosto è il fedele ad essere uno con cui non si discute.
Qui dove sono capitato (ossia a G., frazione di St., provincia di S.) ci sono: campagna, un nome di famiglia e diverse lauree. La casa si vuole di vacanza un tempo e oggi nuovo insediamento rurale. Rurale ma con la partita iva e i pc e la connessione lenta. La connessione lenta, mi dicono, è sufficiente a definire almeno in parte lo stato di ruralità. Non si pratica per fortuna quella che con un abominio viene ad oggi definita “ospitalità rurale”. Ma si potrebbe, dato che l'abominio aleggia in ogni dove. La fede (tornando alla fede) si conserva nel Napoli, nella camorra e in Maradona. E nel liberismo. Perché credeteci che c'è, esiste (dice la fede) una mano invisibile del Mercato che agisce con misura, o piuttosto agirebbe non fosse l'uomo a impedirla. L'uomo infido, creatore di lobby e quant'altro. Dunque? Dunque trucchi, forzature e in culo alla “mano invisibile del Mercato”, e all'autoregolamentazione e all'autocontrollo. Ma la mano c'è, anche se non si vede, e la fede pure. E si vede anche troppo.
Decespugliando un po' ci penso e mi stupisco della fede cieca che il “mio liberale” professa. Positivo prima che positivista, Esso (che chiamerò Esso per distinguerlo da Egli), pensa e crede all'unisono. O pensa costruendo ragionamenti sulla base di ciò in cui ha fede. Mai visto un castello di carte? Ecco, così. Solo che Esso pretende di chiedere l'abitabilità della mansarda chiusa tra donna di spade e due di coppe. Dice che sicuramente reggerebbe anche a una crisi di bora triestina. In pratica crede in qualcosa che non si vede, e che di sicuro non c'è né forse c'è mai stato. Ma Esso ha fede, crede nel liberismo e persino nella natura che c'è, si vede ed è tanto è grande. Tanto che tutto comprende. Per esempio chi dice che la plastica sia innaturale? È un prodotto dell'uomo no? La natura ride mormorando: innaturale la plastica? Ma se ho prodotto l'uomo affinché fabbricasse la plastica!
Anche per la questione riguardante il liberismo, penso, forse Natura ride alle spalle dell'uomo mentre il Mercato, una zappa, si trasmuta, si veste di splendore utopico e addita accusatorio alle lobby. Forse Natura derivò dall'uomo il Mercato affinché si fabbricassero lobby...
Il mio liberale comunque è giovane e di buona famiglia. E l'illusione è dura a morire, soprattutto l'illusione dei borghesi. Dieci centimetri di distanza dal fango, si sa, sono già sufficienti per aspirare alla luna.

(estratto di Diaria - Confuso da un abile gioco di appunti)

venerdì 6 dicembre 2013

CIAO CONTE


Qualcuno avrebbe potuto scambiarlo per alcol. Ma solo io e te sapevamo perché a guardarci ci ridevano gli occhi.
Mi dicono ci sarà una frase di alpexex sulla tua lapide.
Giustificherebbe una vita di pagine scritte.

ps
Il Conte su Cassandra (clicca qui). E poi non dite che non ve lo avevo suggerito di andarlo a conoscere.

lunedì 21 ottobre 2013

BUCHI


Non tutte le ciambelle riescono col buco. Ma il buco, in ogni caso, c'è solo fino a quando non si mangia la ciambella. Poi nessuno sa più dire dov'è finito. E col tempo nemmeno si sa bene se c'è mai stato.