sabato 12 ottobre 2013

WHITE DANCE


(Cesare e Fedora's white dance, Francesca Anita Modotti)





"...La lunga morte, quindi, è alla fine sbocciata. Allora perché non adoperarci in un sole autunnale, di quelli dietro le nuvole, mentre nulla tace e io non so che dire? Un velo di silenzio pure ogni tanto ci vuole.
Insomma, mandami qualche forma e un po' di colore oltre agli abbracci di sguardi. Quando ti partorisci, li aspetto.
E intanto con l'ammirazione e l'affetto ti bacio, occhi dita e mani.
ps
Sei una delle robe più belle di cui immagini m'abbiano mai raccontato. Come sempre."
(Frammento caduto da una lettera a ESca)





Dall’alto ci guarda la pioggia che cade, solo quella, e noi non dobbiamo confonderci. Questo mi dico e intanto cerco convinto tra il bianco e il sicuro mi sbaglio. Un gatto grande, occhi stralunati, forse addirittura selvatico, sta davanti a uno specchio e così mi accontento, e sembro io, oggi io, singolare femminile, la prima volta da che mi guardo a rovescio. Però cerco ancora il bianco e di sicuro mi sbaglio, lo so cosa credi, dovrei dare senso ad altro, altra importanza, e non fermarmi sui fianchi larghi e nuovi e le natiche morbide, elastiche, cuscini cuciti sopra un’ampia tela di notte. Così mi sbaglio, forse mi sbaglio, ma questo spazio, no dimmi, questo spazio, è una tela o una sala da ballo? Perché se sono Fedora, forse davvero è un errore mentre Penelope ancora brontola e disfa il disegno, la trama, e pretendenti senza scrupoli avanzano ciechi e il giradischi gracchia. E dimmi, se sbaglio allora com’è che non c’è un mini disk, una band, un concerto di coppa e mortadella e c’è invece un grammofono a stella? Facciamo così, confondimi bene le carte, tre giravolte, rimescolami il sonno, le palpebre pesano, cerca di sollevarmele. Un due tre e vado giù, mi prendo per mano, balliamo, e poi giù per terra, gambe incrociate. Ci vedi? Dal soffitto è più facile, fa meno paura della pioggia in picchiata con gli occhi appannati, è più facile punto.
Non ho mai sentito una tua risata, rilanci ed è vero, non si tratta di sordità, è che rido poco spesso come singolare maschile. Questo? Questo ghigno sospeso? Solo una maschera. E il soffitto fa meno paura, lo ammetto, ma poi come fai a guardare che viso ha la luna?
La Luna promette indefiniti tersi, e invece sale la nebbia, la pioggia dal basso della terra. Sale dal mare, dal respiro che il mondo cuce, come natiche solide, come giumente e notturni e giravite a stella che girano e girano e girano veloci e la vite è spanata. Attaccami una flebo al collo, voglio dimenticarla. Voglio dimenticare le fiere e le sagre, voglio scordare l’autunno quando passa. Passata è l’estate, stendiamoci a terra, ci guardiamo da basso ballare. Mi spio tra le gambe e lo so che è un errore.
E poi all’improvviso decido: non Penelope o sala, ma una tela da ballo.
Comincia la sera finisce in giornata la luna la veste ed è ancora mattina. Singolari maschili, plurali silenziosi, uno scippo, di femminile ci resta l’ombra del fulmine e qualche scintilla.
E alla fine chiudi gli occhi, che si ricomincia.

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