lunedì 11 marzo 2013

CAINO



La nostra nave si chiamava Inferno, come il film di Dario Argento, o più probabilmente come il luogo dell'anima dove la Grazia è assente. Non posso dirlo con esattezza, perché il nome del veliero l'aveva scelto Sabatino. 
Sabatino era un tale, un talento puro da sacerdote, un tessitore, un manipolatore, trasversale alle svariate personalità sfrenate in lite per il possesso di corpo e vita. Al ripieno misto e scomposto ribollente in ciascuno di noi. 
Io, lui e gli altri giocavamo in riva al lago, e mi dicevano che sarebbe durato poco. Me lo dicevano tutti, gli adulti, i camerieri, le maestre di scuola. Sorridendo, accarezzandomi il capo, bonariamente. Parlavano anche dei miei pensieri, delle mie afflizioni. Dicevano che non erano nulla, che poi sarebbero arrivati i veri problemi. Si spingevano persino a esprimere rimpianti teneri. Ah se alla tua età avessi saputo, come me la sarei goduta! Beh secondo me ancora oggi non è vero. Al pari, rifiutavo un tempo il disprezzo altrui per l'angoscia in cui affogavo io. Forse un giorno sul ciglio della morte rimpiangerò quell'inizio che fu la vita. Ma solo perché il tempo starà per scadere.

La nostra nave si chiamava Inferno, anche se oggi comincio a confondere le lettere che compongono i nomi, e a tratti mi pare di ricordare si chiamasse in altro modo. Inverno, tante volte mi capita di dire raccontando questa storia. Ma credo sia solo per il freddo che sento dentro, nelle ossa prima ancora che sulla pelle, quando ripenso al modo che avevamo di sentirci caldi e fieri sotto il manto di nuvole alte e leggere lì, sulla sponda del lago, mentre le assi assembrate alla meglio galleggiavano sul torbido e la bandiera era issata. Odore di varechina dallo straccio, un po' di spirito inalato scorrendo il pennarello nero a tratteggiare un teschio e qualche fiamma. E a ripensare a Sabatino col suo sguardo vitreo di prete dell'ignoto, pescatore di anime direbbe qualcuno, nel senso di vigile cacciatore opportunista che getta la lenza a caso e sta attento a qualsiasi strattone provenga dai crani ove indaga con l'amo. E così fece quel giorno di fine autunno, immergendo i piedi nel fango, issandosi sul battello e incitandoci a imitarlo.

La nostra nave si chiamava Inferno o Inverno, non lo ricordo più bene, stava sulla sponda del lago che conoscevamo perché lì l'avevamo costruita, la nave come la nostra vita, e ci doveva servire per toccare con mano l'orizzonte sconosciuto, l'altra riva, l'orgoglio fermo della bruma, ove i canneti si intrecciavano al bianco sospeso di infinite gocce immobili nell'aria. Cosa nascondesse quell'eldorado nessuno lo sapeva. Il senso a quel lavoro nessuno lo cercava. Era solo malia. Era un piccolo mosaico inconfessato di ombre scoperte e appiccicate con lo sputo. L'opera del sacerdote, che riflette sul suo specchio barlumi di mistero presenti in ognuno e ne fa leggenda, saltando come un sasso sulle onde, usando noi onde senza orientamento per viaggiare controvento.
Io del mio non so che dire. Se sperassi in un vetro, in un diamante o nel prezioso fare. Cosa volevo trovare non so. Forse nulla, volevo trovare. Volevo solo stare, costruire, varare, navigare, sbarcare. Immagini di Colombo che si tuffa con gli stivali in mare, arranca, alza la spada e decapita l'innocenza.

La nostra nave si chiamava forse Inferno e forse Inverno, quindi, ed era una zattera. Sulla mazza della scopa fissata con corde e chiodi a prua c'era uno straccio per i pavimenti rubato a qualcuna delle nostre madri, e in piedi, in bilico dopo il varo accanto al vessillo, stava Sabatino, incitandoci a raggiungerlo, a mostrare prima che coraggio fede, fede nella mitologia che ognuno di noi aveva contribuito a creare, e che lui s'era limitato solo ad avvalorare, a testimoniare. Ma che soltanto quell'impresa, adesso, poteva santificare. Oh se le nostre mamme o i nostri padri avessero sospettato quali guai andavamo componendo in solitudine! - entrare nell'umido a rischio raffreddore e salire come cenci madidi sui legni storti e tarlati per solcare il melmoso mare nostrum! Saremmo finiti, battuti come il grano. Ci avrebbero fatto a strisce come il cuoio. Pizzicando sulle natiche a sangue. Fino a colorarci di rosso. Somministrazione del bene attraverso umiliazioni e sentenze.

La nostra nave si chiamava Inferno o Inverno, contava a bordo una mazza della scopa con la bandiera e cinque pargoli immobili sul pelo dell'acqua. I remi erano semplici rami di ulivo. Li agitavamo con una certa cognizione e ciononostante a metà traversata prendemmo a roteare, tradotti in UFO-natante nel delirio di un non mare. Così che la prua divenne poppa e tribordo e babordo, ma tanto sempre di nomi si trattava, e solo pochi sapevano dire diversamente che avanti o dietro o destra o sinistra, e a chi piacevano le giostre... la confusione divertiva, e a chi si trovava in cima e poi al fondo e poi di nuovo in cima... la cosa faceva a dir poco ridere, sorridere, liberare. Ebbrezza era la traversata, senza nausea, o con la nausea appena sfiorata. In fondo, avrebbe pensato qualche altro più grande, l'alternanza nelle posizioni d'avanzo o di retroguardia, era una bella forma di casuale democrazia.

Ci salvammo, non annegammo, e riuscimmo persino ad approdare sull'altro fango. Anche se ci giungemmo talmente tanto bagnati che forse nuotare non sarebbe stato diverso.
Sabatino disse – nell'ignoto potrebbe esserci il diavolo, quindi facciamo attenzione.
Poi spedì me, che ero l'eletto, per primo in perlustrazione.
Tuffai i piedi come Colombo nell'acqua bassa e raggiunsi, strisciando gli stinchi, la sponda.
Attraversai il canneto e mi affacciai a spiarne il di dietro. C'era terra sterminata, non costruzioni, non vegetazione a parte pochi cardi e qualche filo d'erba smunta. Una distanza di tre volte la mia lunghezza e poi un reticolato sterminato che si perdeva, a guardarlo, sia a destra che a sinistra.
Il reticolato era alto tante braccia che adesso non saprei dire, e c'era un cartello nero, con il teschio bianco e il segno del fulmine. Un simbolo che faceva impallidire lo straccio disegnato, lo stendardo nostro. Ipnotizzato mi trovai a guardare quell'opera incomprensibile e sconosciuta, quel recinto sterminato che sembrava dividere in due il mondo. E la mano segui lo sguardo con le dita già pronte a intrecciarsi in un minuscolo tratto della rete quando un'aquila urtò il metallo, tre metri più in alto, e fulmini la invasero, alto voltaggio. E divenne un pollo cotto in croce prima e poi più niente, piano piano, piume in fiamme, pelle, carne, ossa, un tizzone.
Alle mie spalle stavano, mi accorsi, i compagni muti. Tutti e quattro fermi davanti al limite, con gli occhi immobili e le braccia protese, goffi, come congelati in un inchino.


Dunque, cosa dicevo?
Ah, sì...
Dall'altra parte del lago c'era un posto che si chiamava Inferno, o Inverno, e qualche volta mi confondo e mi sembra si chiamasse addirittura Aquila, o Colombo, o forse, sai?, si chiamava Caino. E' che sono un vecchio col piede al limite del baratro e i nomi, all'epoca, li sceglieva un tale Sabatino. 

27 commenti:

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    1. ho gia' in punta di dita Abele. ma se scrivo pure quello e lo posto poi resti solo tu a leggermi... :P

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    2. guarda che potrei scrivere anche "Giona nella pancia della carpa"

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    3. Ne hai di fantasia tu eh ... parecchio malata pure :D

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  2. sai descrivere in modo davvero trascinante...è come un delirio di immagini....mi è piaciuto molto...!!

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  3. Un bambino non bambino attratto irresistibilmente dal viaggio verso l’ignoto. Più che la meta sembra importante l’andare e il fare e lo scoprire, senza troppo curarsi dei pericoli.
    (Tanto essendo l’eletto interviene l’animale salvifico che si immola al suo posto. Alla fine la Grazia è presente)

    p.s. bella l'immagine di Colombo con la spada alzata che decapita l'innocenza. Uno spartiacque.

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    1. Grazie alla Grazia, dunque.
      ps
      quell'immagine e' piaciuta persino a me!

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    2. Mi hai fatto venire in mente le tre Grazie :P

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    3. in effetti avevo scritto "Grazia, Graziellla e..." come prima replica :P

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  4. Di' la verita': da grande vuoi fare il biblista... :P

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    1. no, voglio fare il vangelo apocrifo...

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    2. Modesto, il ragazzo ;)

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    3. beati i molesti, perche' loro sara' il regno di chiperlui

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  5. mentre tornavo dagli States in aereo ho visto tra gli altri il film "Il viaggio di Pi", beh il tuo racconto è davvero più bello! L'Oscar dovevano darlo a te! :))) Qui la grazia è un tantino meno presuntuosa e non porta a un dio irreale e per niente necessario alla storia. Perchè non scrivi per il cinema?

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    1. ma non e' morto, il cinema? :) e se non e' morto lo devo ammazzare proprio io? :P cmq se Tony Livido durante la prossima cena non casca sotto il tavolo, giuro che gli propongo di scrivergli. ps il film che dici me lo segno, che non l'ho visto.

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  6. non mi dire che mentre non ero in Italia oltre che il governo è morto anche lui?

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  7. Ognuno ha il Sabatino che si merita :P

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