La nostra nave si
chiamava Inferno, come il film di Dario Argento, o più probabilmente come il
luogo dell'anima dove la Grazia è assente. Non posso dirlo con esattezza, perché
il nome del veliero l'aveva scelto Sabatino.
Sabatino era un tale,
un talento puro da sacerdote, un tessitore, un manipolatore, trasversale alle
svariate personalità sfrenate in lite per il possesso di corpo e vita. Al
ripieno misto e scomposto ribollente in ciascuno di noi.
Io, lui e gli altri
giocavamo in riva al lago, e mi dicevano che sarebbe durato poco. Me lo
dicevano tutti, gli adulti, i camerieri, le maestre di scuola. Sorridendo,
accarezzandomi il capo, bonariamente. Parlavano anche dei miei pensieri, delle
mie afflizioni. Dicevano che non erano nulla, che poi sarebbero arrivati i veri
problemi. Si spingevano persino a esprimere rimpianti teneri. Ah se
alla tua età avessi saputo, come me la sarei goduta! Beh secondo me
ancora oggi non è vero. Al pari, rifiutavo un tempo il disprezzo altrui per
l'angoscia in cui affogavo io. Forse un giorno sul ciglio della morte
rimpiangerò quell'inizio che fu la vita. Ma solo perché il tempo starà per
scadere.
La nostra nave si
chiamava Inferno, anche se oggi comincio a confondere le lettere che compongono
i nomi, e a tratti mi pare di ricordare si chiamasse in altro modo. Inverno,
tante volte mi capita di dire raccontando questa storia. Ma credo sia solo per
il freddo che sento dentro, nelle ossa prima ancora che sulla pelle, quando
ripenso al modo che avevamo di sentirci caldi e fieri sotto il manto di nuvole
alte e leggere lì, sulla sponda del lago, mentre le assi assembrate alla meglio
galleggiavano sul torbido e la bandiera era issata. Odore di varechina dallo
straccio, un po' di spirito inalato scorrendo il pennarello nero a tratteggiare
un teschio e qualche fiamma. E a ripensare a Sabatino col suo sguardo vitreo di
prete dell'ignoto, pescatore di anime direbbe qualcuno, nel
senso di vigile cacciatore opportunista che getta la lenza a caso e sta attento
a qualsiasi strattone provenga dai crani ove indaga con l'amo. E così fece quel
giorno di fine autunno, immergendo i piedi nel fango, issandosi sul battello e
incitandoci a imitarlo.
La nostra nave si
chiamava Inferno o Inverno, non lo ricordo più bene, stava sulla sponda del
lago che conoscevamo perché lì l'avevamo costruita, la nave come la nostra
vita, e ci doveva servire per toccare con mano l'orizzonte sconosciuto, l'altra
riva, l'orgoglio fermo della bruma, ove i canneti si intrecciavano al bianco
sospeso di infinite gocce immobili nell'aria. Cosa nascondesse quell'eldorado
nessuno lo sapeva. Il senso a quel lavoro nessuno lo cercava. Era solo malia.
Era un piccolo mosaico inconfessato di ombre scoperte e appiccicate con lo
sputo. L'opera del sacerdote, che riflette sul suo specchio barlumi di mistero
presenti in ognuno e ne fa leggenda, saltando come un sasso sulle onde, usando
noi onde senza orientamento per viaggiare controvento.
Io del mio non so che
dire. Se sperassi in un vetro, in un diamante o nel prezioso fare. Cosa volevo
trovare non so. Forse nulla, volevo trovare. Volevo solo stare, costruire,
varare, navigare, sbarcare. Immagini di Colombo che si tuffa con gli stivali in
mare, arranca, alza la spada e decapita l'innocenza.
La nostra nave si
chiamava forse Inferno e forse Inverno, quindi, ed era una zattera. Sulla mazza
della scopa fissata con corde e chiodi a prua c'era uno straccio per i
pavimenti rubato a qualcuna delle nostre madri, e in piedi, in bilico dopo il
varo accanto al vessillo, stava Sabatino, incitandoci a raggiungerlo, a
mostrare prima che coraggio fede, fede nella mitologia che ognuno di noi aveva
contribuito a creare, e che lui s'era limitato solo ad avvalorare, a
testimoniare. Ma che soltanto quell'impresa, adesso, poteva santificare. Oh se
le nostre mamme o i nostri padri avessero sospettato quali guai andavamo
componendo in solitudine! - entrare nell'umido a rischio raffreddore e
salire come cenci madidi sui legni storti e tarlati per solcare il melmoso mare
nostrum! Saremmo finiti, battuti come il grano. Ci avrebbero fatto a
strisce come il cuoio. Pizzicando sulle natiche a sangue. Fino a colorarci di
rosso. Somministrazione del bene attraverso umiliazioni e sentenze.
La nostra nave si
chiamava Inferno o Inverno, contava a bordo una mazza della scopa con la bandiera
e cinque pargoli immobili sul pelo dell'acqua. I remi erano semplici rami di
ulivo. Li agitavamo con una certa cognizione e ciononostante a metà traversata
prendemmo a roteare, tradotti in UFO-natante nel delirio di un non mare. Così
che la prua divenne poppa e tribordo e babordo, ma tanto sempre di nomi si
trattava, e solo pochi sapevano dire diversamente che avanti o dietro o destra
o sinistra, e a chi piacevano le giostre... la confusione divertiva, e a chi si
trovava in cima e poi al fondo e poi di nuovo in cima... la cosa faceva a dir
poco ridere, sorridere, liberare. Ebbrezza era la traversata, senza nausea, o
con la nausea appena sfiorata. In fondo, avrebbe pensato qualche altro più
grande, l'alternanza nelle posizioni d'avanzo o di retroguardia, era una bella
forma di casuale democrazia.
Ci salvammo, non
annegammo, e riuscimmo persino ad approdare sull'altro fango. Anche se ci
giungemmo talmente tanto bagnati che forse nuotare non sarebbe stato diverso.
Sabatino disse – nell'ignoto
potrebbe esserci il diavolo, quindi facciamo attenzione.
Poi spedì me, che ero
l'eletto, per primo in perlustrazione.
Tuffai i piedi come
Colombo nell'acqua bassa e raggiunsi, strisciando gli stinchi, la sponda.
Attraversai il canneto
e mi affacciai a spiarne il di dietro. C'era terra sterminata, non costruzioni,
non vegetazione a parte pochi cardi e qualche filo d'erba smunta. Una distanza
di tre volte la mia lunghezza e poi un reticolato sterminato che si perdeva, a
guardarlo, sia a destra che a sinistra.
Il reticolato era alto
tante braccia che adesso non saprei dire, e c'era un cartello nero, con il
teschio bianco e il segno del fulmine. Un simbolo che faceva impallidire lo
straccio disegnato, lo stendardo nostro. Ipnotizzato mi trovai a guardare
quell'opera incomprensibile e sconosciuta, quel recinto sterminato che sembrava
dividere in due il mondo. E la mano segui lo sguardo con le dita già pronte a
intrecciarsi in un minuscolo tratto della rete quando un'aquila urtò il
metallo, tre metri più in alto, e fulmini la invasero, alto voltaggio. E
divenne un pollo cotto in croce prima e poi più niente, piano piano, piume in
fiamme, pelle, carne, ossa, un tizzone.
Alle mie spalle
stavano, mi accorsi, i compagni muti. Tutti e quattro fermi davanti al limite,
con gli occhi immobili e le braccia protese, goffi, come congelati in un
inchino.
…
Dunque, cosa dicevo?
Ah, sì...
Dall'altra parte del
lago c'era un posto che si chiamava Inferno, o Inverno, e qualche volta mi
confondo e mi sembra si chiamasse addirittura Aquila, o Colombo, o forse, sai?,
si chiamava Caino. E' che sono un vecchio col piede al limite del baratro e i
nomi, all'epoca, li sceglieva un tale Sabatino.
semplicemente formidabile!
RispondiEliminaho gia' in punta di dita Abele. ma se scrivo pure quello e lo posto poi resti solo tu a leggermi... :P
EliminaMa smettilaaaa :D
Eliminaguarda che potrei scrivere anche "Giona nella pancia della carpa"
EliminaNe hai di fantasia tu eh ... parecchio malata pure :D
Eliminasai descrivere in modo davvero trascinante...è come un delirio di immagini....mi è piaciuto molto...!!
RispondiEliminain realta' e' Caino quello che delira... :P
Eliminacerto... :-)
EliminaUn bambino non bambino attratto irresistibilmente dal viaggio verso l’ignoto. Più che la meta sembra importante l’andare e il fare e lo scoprire, senza troppo curarsi dei pericoli.
RispondiElimina(Tanto essendo l’eletto interviene l’animale salvifico che si immola al suo posto. Alla fine la Grazia è presente)
p.s. bella l'immagine di Colombo con la spada alzata che decapita l'innocenza. Uno spartiacque.
Grazie alla Grazia, dunque.
Eliminaps
quell'immagine e' piaciuta persino a me!
Mi hai fatto venire in mente le tre Grazie :P
Eliminain effetti avevo scritto "Grazia, Graziellla e..." come prima replica :P
EliminaToh … un fiore per la Grazia.Per la serie un fiore daunfiore ;)
RispondiEliminahttp://www.youtube.com/watch?v=Dmelg_2524o
EliminaDi' la verita': da grande vuoi fare il biblista... :P
RispondiEliminano, voglio fare il vangelo apocrifo...
EliminaModesto, il ragazzo ;)
Eliminabeati i molesti, perche' loro sara' il regno di chiperlui
Eliminamentre tornavo dagli States in aereo ho visto tra gli altri il film "Il viaggio di Pi", beh il tuo racconto è davvero più bello! L'Oscar dovevano darlo a te! :))) Qui la grazia è un tantino meno presuntuosa e non porta a un dio irreale e per niente necessario alla storia. Perchè non scrivi per il cinema?
RispondiEliminama non e' morto, il cinema? :) e se non e' morto lo devo ammazzare proprio io? :P cmq se Tony Livido durante la prossima cena non casca sotto il tavolo, giuro che gli propongo di scrivergli. ps il film che dici me lo segno, che non l'ho visto.
Eliminanon mi dire che mentre non ero in Italia oltre che il governo è morto anche lui?
RispondiEliminaversa da anni in atroci condizioni, mi dicono...
Eliminaè da troppo che manco!
RispondiEliminaOgnuno ha il Sabatino che si merita :P
RispondiEliminainvitiamo Catapano? :P
EliminaDi nuovo? preferisco i Black Sabbathino
Eliminaio i Tarzanelli.
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